sabato 9 maggio 2009

Capitolo 4°: Voglia di vacanze

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Torniamo ai bambini e alla loro incontenibile vitalità. Ricordo bene quel periodo, la prima vacanza estiva dopo la guerra: un paese di campagna come tanti, con un fiumiciattolo che se avesse avuto un poco più d’acqua avrebbe forse potuto chiamarsi torrente, molte case distrutte, ma non così in rovina come i palazzi che avevo visto bombardati nel mio primo viaggio in città; nella sua allora modesta desolazione ( quando ebbi occasione di ritornarvi, molti anni dopo, aveva acquisito titoli per meritare di essere citato sulle guide turistiche come gradevole luogo di villeggiatura ) in quell’estate del ‘45 ci apparve come una sorta di paradiso terrestre: si viveva il gioco con un entusiasmo che sembrava volersi rifare dei troppi giorni passati a “giocare alla guerra”; la casa e il negozio erano i modelli dei nostri giochi e la base per costruire famiglie, villaggi con piccole botteghe dove tutto si poteva acquistare, dal sapone alle scarpe, alla verdura e ai fiori e a tutto quanto la stagione offriva e che la fantasia trasformava. Ma l’immaginazione dei bambini non conosce limiti e ciascuno di noi, bambino tra questi, potrebbe raccontare dei suoi strumenti o di giochi che solo la fantasia poteva produrre. Allegri pomeriggi di vacanza, in una estate irripetibile dopo mesi di paure vissute in prima persona o riflesse negli sguardi angosciati degli adulti. Non si doveva correre negli scantinati o lungo le cunette delle strade al primo segnale di pericolo, con la paura che esplodeva al primo cadere di una bomba, o al primo suono dell’allarme; si continuava invece a servire il caffè in chicchere fatte con i cocci dei piatti trovati lungo il torrente e che nulla avevano da invidiare ai Rosenthal e alle porcellane di Meissen, Un poco di marmo, pestato con giovanile energia, andava a zuccherare quella bevanda divina! Chi di noi non ricorda quelle giornate assolutamente spensierate?
Ricordi anche tu i giochi di quella estate?

giovedì 9 aprile 2009

Capitolo 3° : Eterno femminino



Cantano le ragazze,
cantano la loro gioventù
sbocciata sotto l’urlo
delle sirene,
la loro gioventù umiliata
da distruzioni e morti,
la loro gioventù oggi
restituita
da quegli sguardi finalmente vivi
che accarezzano i loro giovani corpi


Vorrei fermarmi ancora un poco sulle fotografie che rimandano l’immagine femminile: sul volto delle donne è riapparso il sorriso,ma vi si coglie un che di incerto, come se non si sentissero meritevoli del rinnovato benessere. Eppure sono quelle donne che meriterebbero lodi al loro passaggio: sono loro le donne che fino a poco tempo prima erano negli opifici, nelle fabbriche, nelle campagne con i campi da seminare e dissodare, gomito a gomito in prima fila con gli uomini della resistenza ; apparirebbe fuori luogo dunque fare, per esempio, sfoggio di cappelli e cappellini; i visi induriti dalla fatica dovranno attendere ancora un poco prima di sentirsi di nuovo pacificati con una femminilità repressa. Allora appariranno in gran numero le riviste femminili con i consigli di bon ton, le ricette di cucina, le fotografie degli abiti di moda, ma questo è un argomento che al momento non ci appartiene. Negli abiti che ora le donne indossano non appaiono più grandi disegni fioriti, né colletti importanti di pizzo o di picchè, ma diventa predominante la tinta unita .Mi pare di risentire mia madre, che era tra l’altro un’ottima sarta,:” belle le fantasie specie quelle floreali, ma la seconda volta che le metti l’abito sembra già vecchio”. E allora via libera ai grigi, ai blu, ai beige; passeranno altri anni prima che le donne scoprano l’eleganza del nero in quei momenti soltanto immagine di morte, di tristi funzioni religiose,di dolore ora urlato ora represso. A nessuna donna,in quella stagione, poteva venire alla mente quanto fascino il nero conferisca a chi lo indossa . Tuttavia la moda è femmina e le donne, giovani o meno giovani, scoprono che il “vitino di vespa”, triste eredità della fame, può essere un’ottima arma di seduzione e allora ecco i vestitini strizzati in vita, corti e svolazzanti su gambe affilate, vestitini capaci di trasformare gli scandalizzati commenti in mormorii di ammirazione. Ho sempre nella memoria - vivevo allora in una splendida cittadina di mare,
salvata quasi per miracolo dalle tante incursioni aeree – le ragazzine del luogo, forse 15, forse 16 anni che andavano nei caffè a cantare: sfoggiavano vestitini fatti con niente e cantavano canzoni italiane, naturalmente, canzoni che poi finivano in un unico coro, in una lingua tra l’italiano e l’inglese,con i soldati americani che trascorrevano così, in quel pezzetto d’Italia, i loro ultimi giorni di guerra.
Nessuna donna, salvo nelle occasioni speciali, porta il cappello: i giorni della guerra con tutti gli impegni che i maschi avevano lasciato alle donne, non erano giorni da cappelli, a meno che si trattasse di piccoli baschi, berretti che richiamavano spesso quelli dei volontari partigiani.

mercoledì 1 aprile 2009

Capitolo 2° : Prima e dopo

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Nel lettino quieti riposano
I giochi del bimbo, ciascuno riandando
Al giorno passato. La bambola
Rosavestita ripete il suo incessante richiamo: “mam-ma, mam-ma”, le fa eco lo sferragliare del trenino che ancora lavora… ecco un grido e poi una voce di mamma:
“non è niente- chissà quante volte ti capiterà di ferirti “
e, sul far della notte, nessuno sa quanto il futuro
manterrà la promessa…
Tutti ci sono i giochi nel lettino, ma,
stretto al cuore, c’è posto
per uno solo: quello che ancora oggi
lo occupa di diritto.


Confrontando queste fotografie familiari con quelle, per la verità non altrettanto numerose, scattate all’indomani della guerra, gli stessi bambini mostrano ora un aspetto diverso: sorridono sempre – fanno in fretta i bambini a prendere quanto di meglio la vita offre pur tra le macerie di case e paesi e fabbriche – ma le loro mani posate sui fianchi, con un gesto che vuol essere di compiacimento e di orgoglio, mettono in mostra delle braccia scheletriche, così come scheletriche sono le gambe nude, coperte solo per quel tanto, o poco, che qualche centimetro in più di stoffa a disposizione consentiva. E’ però rimasto l’immancabile fiocco nei capelli. Una sorta di filrouge che ha percorso il cammino delle bambine di mezza Europa: lo troviamo in Inghilterra, in Francia, nell’Unione sovietica, non manca neppure nelle drammatiche e dolenti colonne dei bimbi avviati al ghetto o ai campi di concentramento: grandi, piccoli,rigidi, morbidi si posano come farfalle –l’immagine è volutamente banale - sul capo delle bimbe…




lunedì 16 marzo 2009

Capitolo 1° : Storie di bambini

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Ho ritrovato la leggerezza del mondo,
il lieve riandare a giorni vissuti
In un’alba radiosa.
Ora di quell’alba è rimasto un sottile chiarore che immerge le cose in una diafana
Nebbia.Ma i nostri ricordi sono là, fermi ad attendere
che una mano scosti la cortina opaca che li ricopre
e che possano tornare,
anche solo per poco, a vivere
attraverso il nostro cuore.


I bambini della mia generazione, parlo di quanti nati negli anni tra il ' 35 e il ’40 , quando li osserviamo nelle fotografie dei loro primi anni appaiono sempre in pose marziali, ora sull’attenti ora con le braccia sui fianchi, con quel tanto di spavalderia che l’età consente. I calzoncini sono per lo più corti, in tutte le stagioni e i pullover che li accompagnano portano spesso il segno di un paziente lavoro di mamme e nonne. Anche le bimbe appaiono sempre curate nell’abbigliamento: indossano abitini discreti, ma con qualche concessione alla moda :fanno sfoggio di fiocchi tra i capelli ben pettinati, e mostrano calze bianche immacolate e collettini di pizzo ricamati. Sono bambini che non hanno ancora vissuto la guerra: nelle fotografie che li ritraggono non mancano quasi mai i giocattoli - carriole, rastrelli, tricicli, bambole - e sempre fa bella mostra di sè la immancabile automobilina, inconsapevole simbolo di una mascolinità che pone i maschietti un gradino al disopra delle bambine. Anche le mamme, ritratte in atteggiamenti un po’ stereotipi ( avete mai notato come sopra al vestito elegante amino mettere il grembiule, segno di una casalinga attività?), trasudanti orgoglio materno esibiscono con consapevole modestia i segni di un benessere nel loro ambiente diffuso , rappresentativo dell’appartenenza a una classe che da sempre ha rappresentato la rispettabilità. Ci penserà tra non molto la guerra a cancellarne i segni distintivi ; la maggior parte di queste donne in realtà la guerra l’ha già vista e tante portano nel cuore il segno di mutilazioni e povertà difficili da dimenticare. Ma il peggio sembra essere passato: i vuoti si stanno riempiendo di nuove presenze e di nuove speranze. Dagli armadi le divise nere e grigioverde, per tutte le età e i sessi, occhieggiano promettendo sfilate, cortei, manifestazioni corali, saggi di ginnastica; i piccoli sognano il giorno in cui potranno anche loro sfilare con i fratelli maggiori, orgogliosi del loro status…